Storia dell'inconscio

Psicoanalisi e modernità: La terapia analitica

Terapia Analitica
Scritto da Adriano Legacci

Psicoanalisi e modernità: La terapia analitica

Come evolve la situazione del paziente secondo l’esperienza clinica di Kohut? Per rispondere a questa domanda bisogna partire da un altro assunto teorico di questo autore; egli sostiene che le esperienze convalidanti degli oggetti-sé permettono al neonato di costruirsi col tempo una struttura del Sé sufficientemente integra e coesa, che gli permette col tempo di vivere in (relativa) autonomia, attraverso le relazioni mature con nuovi oggetti-sé. Quando invece il paziente durante l’infanzia non accede a queste esperienze di conferma empatica, egli sviluppa una struttura del Sé carente, che presenta un difetto di base. In tal senso la terapia analitica avrebbe il compito di riportare (attraverso la regressione) il paziente a tal periodo di “mancanza empatica”.

La terapia analitica e gli Oggetti-Sé

Permettendo al paziente di vivere di nuovo delle esperienze di conferma empatica con gli oggetti-sè dell’analista, il Sé della persona riesce a lenire le originarie mancanze, il difetto di base viene colmato, ed il processo di crescita psichica riparte in autonomia, per quanto l’autonomia rimarrà comunque relativa per tutto l’arco della vita. Inoltre la comprensione necessariamente non perfetta dell’analista fa capire alla persona la propria condizione di separazione da questo, ed anche ciò permette col tempo di individuarsi da esso, la terapia analitica quindi cerca di trasformare i limiti del terapeuta in nuovi elementi di cura:

“il paziente, trovando una comprensione adeguata, con alcune carenze, ma rare e comunque limitate in modo ottimale, costruirà quelle strutture interne che gli consentiranno di rivolgersi verso una gamma sempre più ampia di oggetti-Sé, per trovarvi sostegno, conferma e aiuto. Così, senza essere respinto dall’analista….il paziente procederà spontaneamente verso nuovi modi di trovare sostegno, al di fuori della situazione analitica, in una varietà crescente di oggetti-Sé” (Kohut, 1984, pag 110).

La terapia analitica: il sistema bi-fase

Inoltre l’autore postula l’esistenza di 2 fasi , una di sola comprensione empatica (che può durare anche molto a lungo) ed una seconda di spiegazione (ossia quella dove si concentrano le componenti mentali dell’insight). Da notare che attualmente queste 2 aree di interventi (di tipo espressivo e supportivo) sembrano essere i fondamenti della terapia analitica. Solo dopo una profonda e sentita comprensione empatica secondo Kohut è possibile accedere all’insight ed alla spiegazione, per la quale molte volte occorre armarsi di buona pazienza ed aspettare; già in questa sequenza quindi vediamo come i fattori terapeutici aspecifici qui riportati (e divisi in elementi mentali ed emotivi) possano darci le linee guida di una buona terapia analitica quando entrambi sono presenti nella cura, con una predominanza degli elementi empatici ed emotivi durante la prima fase di terapia (per quanto questa suddivisione possa essere solo un’astrazione teorica, visto che anche all’inizio è possibile trovare elementi di spiegazione ed anche alla fine della terapia possono ritornare momenti di empatia).

La terapia analitica: l’atteggiamento del terapeuta

Per quel che riguarda la figura e l’atteggiamento dello psicologo nella terapia analitica, gli spunti presi in considerazione sembrano indicare la necessità di integrare un lato di neutralità ed astinenza freudiana con un altro di calore umano e vicinanza, a patto però che il clinico sappia quando essere empaticamente vicino e caldo e quando invece conviene mantenere un assetto interno di distanza e maggior neutralità. In ogni caso bisogna riconoscere l’importanza di Kohut nell’aver evidenziato l’importanza per lo psicologo di entrare in seduta di terapia analitica non solo in quanto clinico, ma anche come persona, con i suoi sentimenti empatici ed un atteggiamento di apertura e fiducia nei confronti della verità del paziente.

Forse per una buona terapia analitica, ci vogliono sia Freud che Kohut, in maniera complementare. Volendo concludere questa serie di articoli sui fattori aspecifici e la modernità del proprio metodo psicoanalitico, possiamo aggiungere che non basta aver ben chiaro in mente i vari fattori presi in considerazione, il segreto molte volte sta nella combinazione che viene data a questi elementi. Il clinico in tal senso deve capire quando è il momento di ascoltare empaticamente il paziente e quando invece si può proporre una propria interpretazione, usando uno dei diversi fattori presentati.

Gli stessi parametri della relazione e del Transfert vanno adoperati tenendo bene in mente il momento specifico della terapia analitica; a seconda della fase d’inizio, sviluppo e fine terapia essi avranno un peso specifico ed una “tonalità” differente. Ancora una volta ci preme sottolineare che non esiste un metodo né verità valida ed assoluta: forse, oltre ai fattori terapeutici aspecifici, le teorie e gli autori, ciò che conta è anche un “buon senso terapeutico”, la sensibilità unica del clinico che si appresta a prendersi cura dell’altro, a sua volta unico, in un incontro sempre nuovo ed irripetibile.

Bibliografia

:: Heinz Kohut, La Cura Psicoanalitica del Sé (1984, Boringheri).

Sull'Autore

Adriano Legacci

Già direttore dell'equipe di psicologia clinica presso il poliambulatorio Carl Rogers e l'Associazione Puntosalute, San Donà di Piave, Venezia.
Attualmente Direttore Pagine Blu degli Psicoterapeuti.
Opera privatamente a Padova e a San Donà di Piave.
Psicoterapia individuale e di coppia.
Ansia, depressione, attacchi di panico, fobie, disordini alimentari, disturbi della sfera sessuale.
Training e supervisione per specializzandi in psicoterapia

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