Storia dell'inconscio

Psicoanalisi e modernità: metodo freudiano o cura dell’Empatia?

Cura dell'empatia
Scritto da Adriano Legacci

Psicoanalisi e modernità: metodo freudiano o cura dell’Empatia?

Volendo approfondire le questioni aperte dal precedente articolo, considerando il punto di vista kohutiano, che nella pratica clinica si esprime come cura dell’empatia, possiamo dire che il bambino cresce bene solo quando il suo ambiente di cura circostante emette delle risposte empatiche, che consistono nella capacità dei genitori di sentire in loro l’emozione del bambino e fargliela vivere in maniera attenuata ed elaborabile mentalmente, dimostrando empatia:

“Dall’inizio della vita, quindi -e la situazione analitica non fa un’eccezione- ciò che si desidera è essere esposti a un’empatia attenuata…..Il neonato è ansioso e la madre sperimenta il sapore della sua ansia: lo prende in braccio e lo tiene stretto. Come risultato, il bimbo si sente compreso e contemporaneamente si calma, perché la madre ha sperimentato, come segnale empatico, non tutta l’ansia del bambino, ma soltanto una versione più debole di essa” (Kohut, pag 114, 1984).

Se la psicopatologia è il risultato di una mancata comprensione da parte dei genitori delle emozioni del bambino, se ne deduce che il compito dell’analista (prima di favorire l’insight) consiste nel ritornare tramite la regressione all’originario momento di non comprensione, dove è mancata l’empatia fra il bambino e i suoi oggetti-sé.

La cura dell’Empatia: i bisogni di rispecchiamento

Il fine è soddisfare il profondo bisogno di comprensione emotiva del paziente attraverso la cura dell’empatia; a partire dal soddisfacimento di tali bisogni può far ripartire la propria crescita emotiva ed esistenziale:

“Quando un amico ci mette un braccio sulla spalla nel momento in cui abbiamo bisogno di essere sostenuti da lui, egli non sa che il suo gesto implica la sua disponibilità a permetterci di fonderci con la calma e la forza del suo corpo, proprio come la madre oggetto-sé ci ha fatto vivere questa esperienza quando ci prendeva in braccio, angosciati e frammentati, e ci teneva stretti a lei. La stessa cosa avviene fra analista e analizzando. Per quanto le interpretazioni di un analista siano obbiettive e consapevoli di tutta una serie di limitazioni, se sono precedute dalla comprensione e confermano all’analizzando di esser stato capito, l’antica rassicurazione di un legame fusionale anche a livelli arcaici rieccheggerà sia pure debolmente in questa esperienza” (Kohut, 1984, pag 243-244).

La cura dell’Empatia: la sua definizione clinica

Per comprendere quindi il paziente e farne ripartire la crescita è necessario applicare per Kohut la cura dell’empatia, concetto che Kohut illustra più volte nei suoi scritti:

“Il modo migliore di definire l’empatia…..consiste nell’identificarla con la capacità di pensare e sentire sé stessi nella vita interiore di un’altra persona. E’ la nostra capacità quotidiana di provare ciò che un’altra persona prova, anche se di solito, e giustamente, in misura attenuata” (Kohut, pag 114, 1984), oppure “Noi la definiamo “introspezione vicariante” o, più semplicemente, come il tentativo di sperimentare, da parte di una persona, la vita interiore di un’altra, pur conservando nello stesso tempo la posizione di osservatore imparziale” (Kohut, 1984, pag 224).

Questa cura dell’empatia si rivelò fondamentale, creando un atteggiamento emotivo di fondo che rivoluzionò l’idea delle interazioni terapeutiche Se l’analista classico e tradizionale era complessivamente silente, distante e “neutrale” (riservato cioè nell’esprimere vicinanza e calore affettivo), pronto a confutare le idee ed i contenuti dei pazienti come resistenze e difese contro il divenire cosciente del complesso d’Edipo, i nuovi assunti kohutiani (che si condenseranno nella corrente psicoanalitica della Psicologia del Sé) vanno a delineare un nuovo tipo di terapeuta:

“diversamente che nella psicoanalisi classica, l’analista comprende realmente la percezione che il paziente ha della sua realtà psichica e la accetta come valida. Ciò equivale a dire che lo psicologo del Sé non mette di fronte a una realtà “oggettiva” che si presuppone più “reale” della sua realtà interiore, ma conferma piuttosto la validità e la legittimità della percezione che il paziente ha della realtà” (Kohut, 1984, pag 222).

La cura dell’Empatia: come cambia il terapeuta

Il tipo di terapeuta proposto da Kohut quindi è aperto al paziente, perchè è proprio a partire da questa apertura mentale che si può mettere in atto la cura dell’empatia; il terapeuta è intenzionato a comprenderne a fondo i sentimenti ed i bisogni, intenzionato a vedere il Mondo alla maniera del paziente, vi è un grado di maggior accettazione, in confronto a quello dell’analista classico, secondo gli psicologi del Sé. Questo perché in questa terapia si cerca di considerare le affermazioni della persona non come i contenuti manifesti delle resistenze all’Edipo, ma come delle richieste narcisistiche atte a raggiungere la maturità. Lo psicologo del Sé, oltre a presentare come tecnica personale la cura dell’Empatia, lavora in modo più rilassato, è più sciolto ed amichevole, c’è meno paura nel mettersi emotivamente a disposizione del paziente quando necessario, vi è persino meno riservatezza di quella dell’analista classico.

Bibliografia

:: Heinz Kohut, La Cura Psicoanalitica del Sé (1984, Boringheri).

Sull'Autore

Adriano Legacci

Già direttore dell'equipe di psicologia clinica presso il poliambulatorio Carl Rogers e l'Associazione Puntosalute, San Donà di Piave, Venezia.
Attualmente Direttore Pagine Blu degli Psicoterapeuti.
Opera privatamente a Padova e a San Donà di Piave.
Psicoterapia individuale e di coppia.
Ansia, depressione, attacchi di panico, fobie, disordini alimentari, disturbi della sfera sessuale.
Training e supervisione per specializzandi in psicoterapia

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