Setting in psicoanalisi

Il significato di setting in psicoanalisi

Il significato di setting in psicoanalisi
Scritto da Adriano Legacci

Il significato di setting in psicoanalisi: che cosa si intende

La parola inglese setting assume, tra i suoi molti significati, anche quello di sfondo, cornice, ambiente. In psicoanalisi il significato di setting, fondamentalmente, fa riferimento all’insieme degli “elementi esterni” che articolano lo spazio fisico e relazionale dell’incontro terapeutico, ed altresì all’insieme degli “elementi interni”, connessi con l’atteggiamento mentale di paziente e psicoterapeuta, che definiscono la dimensione psicologica dell’incontro (Zavattini, 1988).

Ogni elemento (luogo dell’incontro, frequenza delle sedute, durata del trattamento, ecc.) utilizzato per stabilire le modalità di incontro e di rapporto tra paziente e terapeuta, influenza i termini dello svolgersi del trattamento. Questo significa, detto altrimenti, che è proprio stabilendo delle regole “esterne” che risulta possibile strutturare lo sviluppo del processo psicoterapeutico inteso come relazione.

Gillieron (1918) afferma che:

La relazione paziente-terapeuta deve essere considerata come un insieme, in cui le parti si influenzano reciprocamente ed entrambe sono influenzate dal contesto che le accoglie.

Ad esemplificazione del significato specifico di setting in psicoanalisi:

a) il setting influenza sia il terapeuta che il paziente e, quindi, la loro relazione;
b) la relazione paziente-terapeuta è circolare;
c) esistono due principali canali di comunicazione: quello verbale e quello non verbale;
d) il canale di comunicazione non verbale è più breve di quello verbale;
e) le associazioni del paziente scaturiscono da due diverse sorgenti: dall’influenza del terapeuta e dai problemi del paziente;
f) le interpretazioni del terapeuta hanno due sorgenti principali: l’influenza delle associazioni del paziente e l’insieme di alcuni fattori personali (controtransfert, tecnica, ecc.).

Il setting: concetto classico e sua evoluzione nella teoria e nella tecnica psicoanalitiche

Il definirsi di ciò che oggi va sotto il nome di setting, e cioè di quell’ insieme di aspetti che caratterizzano il lavoro analitico e che ne costituiscono il laboratorio insostituibile (il contratto in tutte le sue componenti, la posizione del soggetto sul lettino, l’ analista fuori dal campo visivo del soggetto, le regole relative al tipo di comunicazione, ecc.) va visto come la svolta determinante nella costruzione dell’impianto teorico pratico della disciplina psicoanalitica.

Lo sviluppo del concetto non è stato peraltro esente – a partire dalle prime formulazioni freudiane – da contraddizioni, o interpretazioni divergenti, che mai comunque giungono a negare il carattere di necessità di tale misura tecnica nell’ambito del processo analitico.

Il setting e le sue diverse interpretazioni

Per Saraval, in psicoanalisi il setting, in quanto “assetto relazionale analitico che lo psicoanalista deve assumere e conservare per tutta la durata del trattamento“, è “condizione fondamentale perché si possa fare della psicoanalisi” (Saraval A.,1888:566).

E ancora: “L’analista deve essere inoltre capace di introdurre il paziente nella situazione analitica, di favorirne la regressione e lo sviluppo della nevrosi di transfert, situazioni che vengono in massima parte indotte tramite il setting” (Saraval A., 1888:545). Sullo stesso registro si pone la seguente annotazione: “La psicoanalisi ha bisogno di un setting tecnico (…) solo all’interno della situazione psicoanalitica , del setting, del ‘cadre’ (…) un intervento su un contenuto psichico può diventare un’interpretazione” (Semi A.A., 1988:45).

Di chiara (1971:49) specifica ulteriormente come il setting in psicoanalisi “serve a consentire al paziente di realizzare esperienze che abbiano relazione con il proprio inconscio, con la propria infanzia, con i propri conflitti, e dove realizzare esperienze significa fare esperienza del transfert“.

Mutuando la metafora da Bion (1987), il setting può essere descritto anche come un contenitore (rappresentato dall’analista e dalla situazione analitica) che comprende, contiene ed elabora le angosce del paziente finché questi non abbia acquisito la capacità’ di assumersi questa funzione autonomamente. Il contenimento ha notevoli analogie con la funzione materna, ma l’assetto relazionale analitico non deve limitarsi a questo. Deve essere uno spazio (Gaburri, De Simone Gaburri, 1976), ampio, in cui possano esprimersi e trovare comprensione tutte le parti del paziente, anche quelle più adulte.

La garanzia principale affinché ciò possa avvenire “è rappresentata dall’assetto che l’analista assume nella relazione con il paziente. Si tratta di un assetto del tutto inusitato rispetto alle abituali relazioni umane perché è connotato da ‘specularità’, ‘neutralità’, ‘distanza’ e ‘astinenza’, che comportano un occultamento – non solo allo sguardo – della persona dell’analista” (Saraval A., 1988:588-87).

Sull'Autore

Adriano Legacci

Già direttore dell'equipe di psicologia clinica presso il poliambulatorio Carl Rogers e l'Associazione Puntosalute, San Donà di Piave, Venezia.
Attualmente Direttore Pagine Blu degli Psicoterapeuti.
Opera privatamente a Padova e a San Donà di Piave.
Psicoterapia individuale e di coppia.
Ansia, depressione, attacchi di panico, fobie, disordini alimentari, disturbi della sfera sessuale.
Training e supervisione per specializzandi in psicoterapia

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