Setting in psicoanalisi

Il setting psicoanalitico in J. Bleger

Il setting psicoanalitico in J. Bleger
Scritto da Adriano Legacci

Il setting psicoanalitico in J. Bleger: un’istituzione della psicoterapia

Winnicott definisce il setting come “somma di tutti i dettagli della tecnica”.

J. Bleger spiegando il concetto di setting psicoanalitico ricorda come la situazione analitica comprenda fenomeni che costituiscono un processo, ma include anche un setting, per l’appunto, cioè un non-processo rappresentato dalle costanti all’interno delle quali il processo avviene -con l’ulteriore specificazione che “un processo può essere studiato solo quando si mantengano le stesse costanti“.

Nel setting psicoanalitico vengono inclusi:

  • il ruolo dell’analista
  • l’insieme dei fattori spazio (ambiente)-temporali
  • parte della tecnica (gli orari, gli onorari, la regolarità delle interruzioni, ecc.).

Per Bleger, una relazione che si prolunga negli anni con il mantenimento di una serie di norme e atteggiamenti non è altro che la definizione stessa di istituzione. Il setting viene in tal modo a configurarsi come:

“una istituzione nel cui ambito, o seno, succedono fenomeni che chiamiamo comportamenti”.

(Bleger J.).

Il setting in J. Bleger: l’assenza e la percezione

Il setting si mantiene e tende ad essere mantenuto (attivamente dallo psicoanalista) come invariabile e, fintanto che esiste come tale, sembra inesistente, o non viene considerato, allo stesso modo in cui delle istituzioni o relazioni di prende coscienza solo quando mancano: “non c’è percezione di ciò che sempre c’è”, dice Bleger (e a proposito dell’amore e del bambino ricorda come talvolta si usi dire che si sa che esistono solo quando piangono).

Affrontare il tema da una simile prospettiva consente a Bleger di considerare il setting alla stregua della simbiosi, che è “muta” e si manifesta solo quando si rompe o minaccia di rompersi.

Utilizzando un parallelismo rispetto allo schema corporeo, Bleger sostiene che così come si parla di un membro fantasma, bisogna riconoscere che sempre le istituzioni e il setting si costituiscono in un “mondo fantasma”: quello dell’organizzazione più primitiva e indifferenziata.

Ciò che c’è si percepisce solo quando manca. Non c’è percezione di ciò che sempre c’è.

La percezione dell’oggetto che manca e di quello che gratifica è posteriore. Per la percezione del soggetto ciò che esiste è la percezione di quello che l’esperienza ha dimostrato che può mancargli.

D’altro canto le relazioni stabili o inamovibili (le non assenti) sono quelle che organizzano e mantengono il non-io e formano la base per strutturare l’io in funzione delle esperienze frustranti e gratificanti. Non è detto che ciò che il non-io percepisce non esista psicologicamente per l’organizzazione della personalità. La conoscenza di qualcosa si dà solo attraverso l’assenza di questo qualcosa, fintanto che si organizza come oggetto interno. Ma esiste anche ciò che non percepiamo.

E questo mondo fantasma esiste depositato nel setting, finché, o proprio per questo, esso non sia rotto.

Il setting come condizione implicita di ciò che diviene esplicito

Il pensiero – specifica Bleger – si è a lungo occupato della scienza, del linguaggio, della logica ignorando che tutti i fenomeni e processi si collocano in un contesto di presupposti che venivano ignorati, o dati per inesistenti, o invariati. Ora sappiamo che la comunicazione include una meta comunicazione, la scienza una meta scienza, il linguaggio un metalinguaggio, ecc.

“Se cambia la meta… cambia in modo radicale il contenuto”.

In tal modo, essendo costante, il setting è decisivo per i fenomeni del processo della condotta. In altri termini il setting è una meta condotta dalla quale dipendono i fenomeni che riconosciamo come condotta. È una condizione implicita, dalla quale dipende però tutto ciò che diviene esplicito.

È possibile affermare che la relazione analitica possa essere una relazione simbiotica, ma nei casi in cui il setting viene mantenuto, il setting stesso diventa depositario della simbiosi, che non si colloca così all’interno del processo analitico.
La simbiosi con la madre (l’inamovibilità del non-io) permette al bambino lo sviluppo del suo io; il setting ha la stessa funzione: serve da sostegno, da demarcazione.
Sintetizzando, in tale prospettiva, Bleger giunge ad affermare che il setting costituisce la più perfetta coazione a ripetere e che in realtà ci sono due “setting”: uno proposto e mantenuto dall’analista e coscientemente accettato dal paziente; l’altro nel quale il paziente proietta il suo mondo fantasma. E quest’ultimo si pone come una coazione a ripetere tanto perfetta da essere la più completa, la meno conosciuta e avvertita.

Il setting psicoanalitico in J. Bleger: il non-sviluppo

Nell’analisi degli psicotici Bleger trova “sorprendente e appassionante” la coesistenza di una negazione dell’analista con una suscettibilità esagerata per l’infrazione di qualsiasi dettaglio di quanto stabilito (setting); il modo in cui un paziente può disorganizzarsi e diventare violento per una minima infrazione alle regole del setting (per esempio qualche minuto di ritardo nell’inizio o nel termine della sessione) è da Bleger compreso nei termini di una destrutturazione del “meta-io”, che è “in gran parte tutto ciò che lo psicotico possiede”.

Nel transfert psicotico non si trasferisce affetto, bensì “una situazione totale, la totalità di uno sviluppo” (Lagache). Per Bleger sarebbe meglio dire la totalità di un “non sviluppo”. Se per Melanie Klein, il transfert ripete le relazioni d’oggetto più primitive, per Bleger è qualcosa di ancora più primitivo (la condizione anoggettuale, indifferenziata, simbiotica) che si ripete nel setting. Il setting “è” la parte più primitiva della personalità, èla fusione io-corpo-mondo, dalla cui inamovibilità dipende la formazione, l’esistenza e la discriminazione (dell’io, dell’oggetto, dello schema corporeo, del corpo, della mente, ecc.).

I pazienti con “acting-in” o gli psicotici sono in particolare portatori di un loro proprio setting: l’istituzione della loro più primitiva relazione simbiotica; Bleger però avverte come “tutti i pazienti” ne sono, comunque, portatori.
Diviene in tal modo più agevolmente riconoscibile la cosiddetta situazione catastrofica che, sempre, in misura diversa, presuppone la rottura di un setting da parte dell’analista (vacanze, inadempienze di orario ecc.): in tali rotture si produrrebbe per Bleger una “fessura” attraverso la quale si introduce la realtà – situazione che, per il paziente, assume connotazioni di una catastrofe: il “suo” setting, il suo “mondo fantasma”, restano senza depositario. Si ripropone, in tali termini, la considerazione secondo la quale il setting del paziente non è la stessa cosa del setting psicoanalitico.

Il setting psicoanalitico in J. Bleger: ulteriori considerazioni

Winnicott afferma che “per il nevrotico, il divano, il calore e il confort possono simbolicamente essere l’amore della madre; per lo psicotico sarebbe più esatto dire che essi sono l’espessione fisica dell’amore dell’analista. Il divano è il grembo dell’analista o l’utero, e il suo calore è il vivo calore del suo corpo“.

Bleger, per estensione, attribuisce a tutte le condizioni che definiscono il setting psicoanalitico la qualità di essere in stretta relazione con le parti psicotiche del paziente: “Per ciò che si riferisce al setting, esso è sempre la parte più regressiva, psicotica del paziente (per ogni tipo di paziente)“.

Il setting (in quanto non-processo, implicito, meta-condotta, condizioni del processo, dell’esplicito e della condotta) si pone ulteriormente in Bleger come “un elemento da cui il processo analitico può prescindere. Possiede la valenza delle figure parentali per il bambino: senza di loro non c’è sviluppo dell’io”. D’altro canto il suo mantenimento oltre il necessario, o la mancanza di modificazioni nella relazione (con il setting o con i genitori), può rappresentare un fattore negativo, di paralisi dello sviluppo. In ogni analisi, anche con un setting mantenuto in modo ideale, il setting stesso deve divenire oggetto di analisi.

La de-simbiotizzazione della relazione analista-paziente si raggiunge solo attraverso l’analisi sistematica del setting.
È qui che si incontrano, a detta di Bleger, le resistenze più tenaci, perché non si ha di fronte qualcosa di represso, ma ciò che si è sfaldato e mai discriminato.

“Non si interpreta il represso: si crea il processo secondario. Non sulle lacune mnestiche, ma su ciò che non ha mai fatto parte della memoria”.

Sull'Autore

Adriano Legacci

Già direttore dell'equipe di psicologia clinica presso il poliambulatorio Carl Rogers e l'Associazione Puntosalute, San Donà di Piave, Venezia.
Attualmente Direttore Pagine Blu degli Psicoterapeuti.
Opera privatamente a Padova e a San Donà di Piave.
Psicoterapia individuale e di coppia.
Ansia, depressione, attacchi di panico, fobie, disordini alimentari, disturbi della sfera sessuale.
Training e supervisione per specializzandi in psicoterapia

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